Renato Prandi da Verignano
Direttore Galleria LA CAVE - Treviso - 1982
Giovanni Gambasin, nel corso della sua recente personale ha avuto il modo di parlarmi abbastanza esaurientemente della sua vita e della sua pittura. Ho portato il discorso anche su argomenti più vasti, per cercare di compiere un’incursione nella sua psiche, avendo intuito che egli non era affatto un superficiale. Perciò mi disse dell’itinerario segreto di ognuno di noi, dei limiti del nostro pensiero di fronte all’aldilà, dell’assurdità e del non senso fondamentali dell’esistenza e del suo significato forse nascosto…Paragonò l’uomo a una palla di creta che diventa fango immergendosi nell’acqua sporca della società…
Il suo concetto dell’”uomo-palla di creta” produce già un’immagine surreale e già in questo pensiero espressomi dall’artista emerge il suo inconscio che lo ha portato sin da bambino verso il mondo della fantasia. Dalla quale la sua naturale inclinazione per la pittura lo ha spinto a creare immagini che non sono che l’oggettivazione di concetti trascendenti il dato naturale.
Egli nulla sapeva del manifesto di Breton, dell’influenza della pittura metafisica di De Chirico e delle proposte formali del surrealismo; di Duchamp, di Ernst, di Dalì, di Mirò e di Tanguy, che conobbe sui libri molto più tardi, ma soprattutto in questi ultimi si ritrovò meravigliandosi di alcune somiglianze fra il suo mondo e quello che aveva scoperto. Così da autodidatta anche per quanto attiene alla sua cultura generale, imparò la lezione dei grandi maestri dell’arte fantastica o più esattamente di quelli del più ortodosso surrealismo. Per sua natura appartato e introverso, rimase ai margini del mondo che non sapeva dare una risposta ai suoi interrogativi e preferì cercare il mistero con la sua fantasia. La morte della madre gli procurò, oltre al dolore una profonda necessità di riflessione che trasferì quasi istintivamente sul piano estetico.
Il suo carattere che ho così individuato, non lo porta però all’espressione immediata del suo subconscio e quindi nascono opere nelle quali lo spazio è immenso e gli oggetti simbolici e filiformi o la figura dell’uomo disumanizzato, costituiscono gli stilemi enigmatici dei suoi pensieri, incredibilmente profondi, che riesce a manifestare con intima soddisfazione solamente in una pittura surrealista.
Le sue intuizioni da cui nascono queste immagini estetiche, sono il frutto estremo di una sua sapienza inconscia e assumono l’importanza di un rituale poiché da ognuna di esse, escono soffocati lamenti e allucinanti personaggi sempre immersi nella desolazione del vuoto. Senza alcun sospetto di polemica, tanto è al di fuori di ogni sostegno temporale, tanto la sua arte è lirica e pervasa da infinita solitudine.
Chiamare in causa una filosofia dell’artista non è azzardato: il mondo attuale gli appare come un pianeta vuoto e privo di veri uomini. Nel silenzio del suo laboratorio Gambasin sogna forse qualcosa che non c’è, scoprendo immagini psico-fisiologiche di grande nitore e instaurando un rapporto che dischiude un’infinità di problemi esistenziali in una magica sospensione di mistero che tradisce la sua apprensione e il suo congeniale bisogno di indagine volta a scoprire il filo ipotetico sul quale si coordinano la realtà dell’esistenza e le sue eterne conflittualità.
Ma se il dipingere è ormai di tutti, e di tutti i giorni, Gambasin assolve ad un compito di annotare in atmosfere oniriche tutte le sue fantasie dominate dall’angoscia del presente. Egli rifiuta qualsiasi trasformismo utilitaristico, qualsiasi compiacenza di comodo, moda o capriccio, per rimanere nel filone preziosamente autentico del surrealismo, che nell’arte non ha mai ceduto il passo ad altre correnti, condizione permanente del mondo espressivo e sicura testimonianza del mondo interiore. Con una pregnanza poetica di artista ben degno di questo nome.